Fagiolo Orto Slow FoodMi viene fissato un appuntamento con il giornalista Paolo Galliani della rivista DOVE; è un caldo pomeriggio di luglio, deve scrivere una recensione sul nostro padiglione in Expo. Più che una visita, l’incontro si traduce in una bella chiacchierata attorno ad un tavolo, gli parlo della nostra mission, del perchè nonostante tutto abbiamo deciso di esserci, di quale sia il messaggio che portiamo e di come abbiamo deciso di svilupparlo.. Dopo alcuni mesi leggo quell’articolo su internet senza conoscerne l’autore e il giornale da cui è tratto se non alla fine, in coda al testo. Penso al disegno tracciato da queste righe, alla riflessione che ne esce da chi le ha scritte, a mio avviso il più puntuale ed interessante articolo sul nostro padiglione che abbia letto. Mi piace pensare di essere riuscito a lasciargli tutto questo:

«Se in ogni romanzo arrivare all’ultima pagina è fondamentale, allora la porzione più remota del Decumano merita il riguardo dovuto. Anche se per la verità è sconcertante che uno spazio come quello di Slow Food si ritrovi sistemato in una porzione così defilata, da apparire anche punitiva. Fra tanti padiglioni in cinemascope, la dimensione low profile di questa costruzione firmata dallo Studio Herzog & De Meuron e ispirata alle cascine lombarde è una parabola laica sulla sobrietà, sull’agricoltura eroica, sull’importanza di non sprecare cibo perché produrlo costa fatica. Si accede a una costruzione piana e volutamente senza vanità che compone un triangolo di edifici modulari dominato al centro da un orto agro ecologico nel quale si materializzano un teatro, una mostra sulla biodiversità, uno spazio per degustazioni di qualità. Il percorso è sensoriale, ma anche didattico: il naso si avvicina a una fessura per riconoscere dall’odore il prodotto della terra, la mano finisce in un barattolo per dare un nome ai diversi cereali e gli spunti di riflessione sono in puro stile Slow Food, le scelte individuali si ripercuotono su tutto il mondo. L’obiettivo è esplicito: provocare riflessioni, mettere in discussione i comportamenti poco virtuosi, chiedere alla gente di non chiudere gli occhi, di avere una visione più consapevole. Il dubbio diventa un valore, l’anticamera del cambiamento. È forse la vera essenza del nostro viaggio a Expo. Vista da Slow Food la lunga e diritta trama del Decumano, che all’estremo opposto vira idealmente a sinistra per ricongiungersi al Padiglione Zero, sembra comporre un noto segno tipografico di punteggiatura. È la grande eredità dell’Esposizione Universale: un gigantesco e metaforico “punto di domanda”»
Paolo Galliani sulla rivista DOVE di Settembre